NOVITA'
 

Idee di cinema. L'arte del film nel racconto di teorici e cineasti
Giovanni Maria Rossi

  BACHECA
  CHIUSURA CASA EDITRICE
Attenzione!


  I nostri saluti
ai lettori del Principe costante Edizioni



 


Il principe costante Edizioni
via Mamiani 14
20127 Milano
Tel. 338.7694308
Fax 02.26142466

 


e-mail per contattarci
redazione@principecostante.it
 

Il teatro nascosto nel romanzo

Le drammaturgie nascoste nella forma romanzo di Patrizia Bologna

Quali rapporti intercorrono tra teatro e letteratura? Perché accade sempre più spesso che il teatro non si curi dei testi di drammaturgia per appassionarsi invece a opere non specificamente scritte per la scena? Che cosa cerca il teatro nel romanzo? E, in questa ricerca, è solo il teatro a rubare qualcosa o invece si tratta di un rapporto di reciprocità in cui è anche il romanzo ad arricchirsi?
Questi i temi di cui si è discusso tra il 10 e il 12 dicembre 2004 alla Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi di Milano durante il convegno «Drammaturgie nascoste nella forma romanzo», secondo appuntamento della rassegna Walkie-Talkie, organizzata da Teatro Aperto. Molte le personalità del mondo del teatro e della letteratura che hanno aderito all'iniziativa: Jerzy Stuhr, Giuseppe di Leva, Fausto Malcovati, Renata Palminiello, Enzo G. Cecchi, Claudio Meldolesi, Luca Ronconi, Carla Benedetti, Antonio Moresco, Fanny & Alexander, Margherita Crepax, Motus, Gabriele Vacis, Oliviero Ponte di Pino.
A coordinare gli incontri di queste tre giornate, oltre a Renzo Martinelli, Federica Fracassi ed Elena Cerasetti di Teatro Aperto, era presente Renata Molinari, che ha fornito un contributo preziosissimo sia attraverso uno sguardo dall'interno, come dramaturg del Progetto Dostoevskij di Thierry Salmon culminato nell'ottobre 1992 con la presentazione a Liegi dello spettacolo Des Passions, sia dall'esterno, come lucida studiosa del panorama teatrale. Come lei stessa afferma: «Guardo e ascolto quello che fate e dite, poi ve lo racconto».
Il tema dell'incontro tra teatro e romanzo è stato affrontato da molteplici punti di vista: degli autori, dei registi, degli attori, dei drammaturghi. E se risulta difficile tirare le fila dei fiumi di parole spesi sull'argomento, il nocciolo della questione è stato il motivo della nascita di questo rapporto: l'interesse dei teatranti nei confronti del romanzo si manifesta quando il dramma entra in crisi e dunque il genere narrativo sembra offrire un maggior numero di possibilità creative. Ma perché il dramma, nel corso del Novecento, non si presenta più come una strada percorribile? Secondo il parere del professor Claudio Meldolesi, il dramma, caratterizzato dalla centralità del personaggio, entra in crisi quando è il personaggio stesso a essere messo in discussione: il personaggio «è ciò che rende l'uomo simile all'uomo. Il personaggio è ciò che rende l'uomo portatore di altre vite».
La vita del personaggio, dopo il Naturalismo, diventa incapace di essere avventurosa nella sua corrispondenza con la realtà. Ma se la crisi del personaggio ha comportato la crisi del dramma, non ne ha tuttavia decretato la morte. Il dramma contemporaneo riesce a rinnovarsi attraverso l'abbandono di tutte le dimensioni identificative, vale a dire la divisione in atti, i dialoghi, il personaggio codificato. A partire da questo alleggerimento, il nuovo codice del dramma diventa portatore di stimoli: è questa la ragione per cui le forme di dramma odierne sono molto meno codificate di quanto non lo fossero in passato. La matrice delle scritture per il teatro è il monologo, uno strumento che permette di testimoniare la vita. Il monologo è la scrittura più prossima all'autore, non è articolato, rivela una parentela con la lirica nei momenti di maggiore autenticità. Il teatro gode di una libertà che ha permesso la nascita di quel fenomeno che possiamo chiamare «dramma individualizzato».
I teatranti si rivolgono quindi al romanzo, che appare una materia caratterizzata da una maggiore duttilità e da una più ampia libertà di creazione. Alcuni registi optano per scrittori sicuramente innovatori, ma pur sempre «classici». È il caso di Luca Ronconi che, a partire dalla lettura di testi quali Quel che sapeva Maisie e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana pratica quelli che egli stesso definisce «trasferimenti» anziché teatralizzazioni o lavori drammaturgici, a sottolineare la naturalezza del processo di traduzione dalla pagina alla scena. In queste opere colpisce una certa fedeltà nei confronti della materia trattata, una ferma volontà di restituire la trama del testo.
Altri artisti si confrontano invece con il romanzo contemporaneo, in cui è visibile quella stessa crisi che Meldolesi descrive per il genere drammatico: un testo che ha perso le sue caratteristiche fondative e, soprattutto, in cui l'autore è diventato uno dei personaggi. La trama è materia magmatica senza contorni precisi, i personaggi sono figure, la trasposizione non appare più una soluzione. Come mettere in scena una simile opera? La scelta che accomuna molti gruppi della nuova generazione è di non limitarsi alla rappresentazione di un testo, ma esplorare l'intero universo dell'autore cercando di renderlo sulla scena (spesso attraverso non un solo spettacolo teatrale, ma più eventi spettacolari), operando una profonda destrutturazione della materia narrativa a scapito della fedeltà al testo, scelta che si rivela però fedele all'universo dell'autore.
Fanny & Alexander mostrano come da un solo romanzo possa generarsi una struttura drammaturgica complessa. A partire da Ada di Nabokov, il gruppo di Chiara Lagani e Luigi de Angelis sta sviluppando un progetto della durata di tre anni che porterà alla creazione di dodici episodi tra spettacoli ed eventi di altro genere. La volontà sembra essere quella di potenziare e moltiplicare l'opera dello scrittore russo, un lavoro che è stato condotto grazie all'aiuto di diversi esperti: Luca Scarlini, che ha studiato l'iconografia e il citazionismo letterario all'interno del romanzo; Stefano Bartezzaghi, che ha elaborato un gioco centrato sull'enigmistica, sull'ossessione linguistica e sul cortocircuito che porta all'esplosione del linguaggio; e Margherita Crepax, la traduttrice italiana di Ada, che ha contribuito ad approfondire la cifra stilistica e autoriale del testo. L'esperienza di Fanny & Alexander mostra come, di fronte a un romanzo complesso, non ci si possa limitare alla messinscena naturalistica di ciò che viene descritto.
La scelta di Motus appare, per certi versi, più radicale. Il gruppo romagnolo si è proposto di dar corpo all'infinità del tempo e alla vastità dello spazio che caratterizza il genere romanzo attraverso l'inserimento, nella scena teatrale, di un altro registro: quello cinematografico. Il progetto Rooms non nasce da testi drammatici, bensì da suggestioni della letteratura americana: DeLillo, Cunningham, Easton Ellis. L'aspetto interessante di questo lavoro risiede nell'introduzione, all'interno della scena, del pensiero: elemento tipico del romanzo, il discorso indiretto libero entra in teatro grazie a un espediente cinematografico, la voce fuori campo.
Un'altra testimonianza particolarmente interessante è stata quella di Teatro Aperto, che ha illustrato le diverse tappe del lavoro drammaturgico che caratterizza il loro percorso: «Una costante è stata la possibilità di partire dalla letteratura e, annaspando in quella materia vasta e titanica, trovare la forza e la curiosità per ricondurla al teatro. Il romanzo con i suoi confini incerti ci lascia un margine di creazione teatrale molto ampio, che è la possibilità di lavorare drammaturgicamente, di tracciare vie all'interno delle opere». Il Progetto Caosmologia si è sviluppato nel corso di tre anni, dal 2001 al 2003. La prima tappa di lavoro ha visto la realizzazione dello spettacolo Sinfonia per corpi soli, con un testo scritto da Federica Fracassi a partire dalle suggestioni nate dalla lettura di Sarah Kane. Non si è quindi trattato di mettere in scena un dramma esistente, ma di scrivere un'opera ex novo. La seconda tappa, che si è dipanata in tre momenti, si è concentrata attorno al romanzo Canti del caos di Antonio Moresco, un testo senza confini e senza centro che si snoda per visioni e allegorie. Considerata la vastità e la complessità dei materiali indagati, Teatro Aperto ha articolato il lavoro in diverse tappe spettacolari. Nella prima è avvenuto il confronto con i soli canti: «Non sono monologhi, ma una sorta di approfondimento delle voci del romanzo, voci di figure che prendono la parola e, come in una sorta di intima confessione, cantano se stesse. Il primo percorso di indagine è stato quindi mettere da parte la trama, se una trama c'è, e ascoltare le parole dei canti, metterle in bocca agli attori, provare a "dirle"».
In questa fase il gruppo prende coscienza di avere per le mani una materia molto concreta: le parole avrebbero potuto restituire il senso tramite il suono. Se nella prima parte il lavoro si è svolto solo a livello sonoro, nella seconda e nella terza si è invece presentata l'esigenza di sfondare la barriera bidimensionale e di passare alla messinscena. Importante si rivela una suggestione infantile di Martinelli, che rimanda al coro ascoltato durante la celebrazione della messa: «Nel coro il gruppo assorbe l'individuo, i corpi perdono i loro confini, diventano corpo unico, corpo cosmico». Il lavoro si conclude con una mise en espace di corpi e voci, il coro appunto, basata sulle polarità nascita-morte, ombra-luce, maschile-femminile.
L'ultima tappa ha rilanciato la ricerca. Fino a quel momento il gruppo non aveva mai affrontato la trama del testo perché non lineare, magmatica, infinita, poco adatta a essere racchiusa in un tempo e in uno spazio teatrali. Il tema del potere viene eletto a nucleo drammatico e a protagonista dello spettacolo: la figura del kamikaze come individuo che ha deciso di «sottrarre il proprio corpo al potere» e farlo tornare a essere materia cosmica deflagrata, per rinascere.
A proposito dei rapporti tra teatro e romanzo, Antonio Moresco afferma: «A me pare una cosa straordinaria che questo incontro drammaturgico tra scrittori viventi e uomini di teatro, che in Italia sembrava quasi impossibile per pregiudiziali teoriche e ideologiche, autoreferenzialità e difesa di piccoli spazi, cominci invece ad avvenire, rompendo schemi, consuetudini e sbarramenti. E che questo avvenga non nel segno del compromesso o dell'annichilimento dell'una o dell'altra parte, ma della libertà, della fecondazione reciproca e della moltiplicazione».
I casi di Luca Ronconi da una parte e di Fanny & Alexander, Motus e Teatro Aperto dall'altra mostrano due diversi percorsi artistici: testo versus autore, trama versus suggestione, spettacolo versus eventi. Percorsi differenti sì ma anche, per certi aspetti, sovrapponibili.
Per tutti gli artisti fondamentale si rivela l'approccio alla nuova materia da trattare e, come sottolinea Fausto Malcovati, l'individuazione del nucleo drammatico: quella che per Jerzy Stuhr è la «forza» dell'opera (nel caso di Delitto e castigo era la domanda: «Dove finisce il delitto e quando comincia il castigo?»), per Gabriele Vacis è il «nucleo pulsante o grumo di materia pesante», per Teatro Aperto è il «filo drammatico», vale a dire il centro attorno al quale sviluppare la ricerca.
Una quasi maniacale attenzione alla parola sembra essere un altro elemento di continuità. «I discorsi possono cambiare» afferma Renata Molinari «non le parole». Perché, come sottolinea Renata Palminiello: «Il personaggio è la lingua che parla».
Infine, una stessa volontà di non confondere la pagina scritta con la scena. Come ha affermato Stuhr, portando significativi esempi della propria esperienza con Wajda: «Leggere e vedere una situazione attraente sono due cose completamente diverse e di conseguenza occorre tradire il romanzo per essergli fedeli».
Tantissimi gli spunti di riflessione offerti in queste tre intense giornate. Molte le questioni che rimangono aperte. Ma forse l'importanza di eventi come questo sta proprio nel fornire dubbi anziché risposte.

 
Il principe costante Edizioni - © 2008 tutti i diritti riservati
Creato da Xidera S.r.l.