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Attraverso «Mulholland Drive». In viaggio con David Lynch nel luogo di un mistero

Straight Story/Lost Higway. Mulholland Drive e le sfide dell'interpretazione di Claudio Bisoni

David Lynch, al contrario di quanto può apparire a prima vista (e di quanto è di fatto apparso alla vista di qualche osservatore), non è attratto dal labirinto. I suoi film sono spesso, anche se non sempre, maniacali dal punto di vista geografico. Hanno una topologia dettagliatissima, segno di una precisione descrittiva beffarda e pletorica. Procediamo con ordine altrettanto arbitrario.

Los Angeles, un giorno compreso tra il 29 marzo e il 1° aprile, 1993.
All'interno di un ufficio, quattro occhi osservano Blue Poles: Number 11, 1952 di Jackson Pollock. Due appartengono a Martha P. Nochimson, due a David Lynch. La Nochimson, dopo una serie ripetuta di colloqui con il regista, scriverà The Passion of David Lynch. Wild at Heart in Hollywood. Intanto però, in quello studio, quel giorno, la donna guarda il quadro e dice: «Non lo capisco». Lynch osserva, alza lo sguardo, fissa gli occhi della Nochimson e risponde: «Sì che lo capisci. I tuoi occhi si stanno muovendo».
[...]

Lynch ci tiene molto a che non si scambi il mistero per una forma di confusione. Il mistero va circoscritto, richiede un metodo. Un metodo è un principio d'ordine. L'ordine ha un posto altrettanto importante del mistero stesso. Lo spazio solare e ordinario in cui sono ambientate le storie lynchiane è ordinato. Il mistero che gli scorre a fianco e con cui a volte entra in contatto è il frutto di un isolamento sensoriale ben preciso, spesso dotato di confini. Anche quando i confini sono dilatati, resi a loro volta sfumati, Lynch non cerca, come Kubrick ad esempio, di ritrovare lo spaesamento nell'ordine razionale e scarno delle cose. Non è interessato alla contaminazione progressiva della disciplina visiva da parte del caos. Quanto piuttosto al parallelismo dei mondi, ai punti di contatto.
I film di Lynch sono testi, tavole visive, ma anche mappe, cartografie minuziose, profusione di dati topologici. Los Angeles in Mulholland Drive è una città fotografata e fissata nelle sue coordinate spaziali. Ogni azione ha un luogo, ogni luogo un nome. Inquadrature aeree di stabilizzazione, panoramiche in funzione connettiva legano i personaggi ai luoghi e ai loro nomi propri: 6980 Mulholland Drive, Franklin Ave 7400 w., Sunset Bl 7200 w., 1612 Hayvenhurst, 2590, 17 Sierra Bonita (appartamento 12).
Non bisogna credere che Lynch si comporti come il giocatore esperto descritto da Dupin in La lettera rubata di Poe per dare una spiegazione cognitiva al successo dell'inganno. Il regista non è interessato a ritrovare l'immateriale nell'evidenza materiale, a sfruttare il potere di distrazione dell'eccesso informativo. In Mulholland Drive i luoghi sono nominati affinché rimangano sulla mappa spaziale del film come coordinate date una volta e per sempre, in modo accessorio quanto inesorabile.
In Velluto Blu sono incastonati vari racconti: il sogno di Sandy ma anche i processi di retelling attraverso i quali Jeffrey informa Sandy delle scoperte fatte nell'universo oscuro e misterioso di Dorothy (là dove non volano i pettirossi). I dialoghi tra questi due bravi ragazzi che di notte violano l'intimità di una donna disperata («È uno strano mondo, Sandy») sono inquadrati all'interno di un ambiente stabile e caratterizzato da un eccesso di riconoscibilità. Ogni volta che Jeffrey e Sandy si incontrano, magari per scambiarsi due battute di dialogo in campo/controcampo, la sequenza è aperta e chiusa da un establishing shot dall'esterno del diner di Arlenes. Gli spazi non sono solo nominati con precisione, sono anche mostrati con insistenza: essi ritornano, fanno parte di un ri-percorso quotidiano. Quando Jeffrey riprende i sensi in un luogo sconosciuto dopo essere stato picchiato a sangue da Frank, trova un cartello che gli indica la via di casa. È un altro dei modi in cui l'ordinario si riafferma nella sua ritualità inutile e rassicurante.
Può succedere che questo spazio perfettamente monitorato presenti punti ciechi, buchi, crateri, come capita per gli uffici dell'Fbi con l'apparizione-sparizione misteriosa dell'agente Jeffries in Fuoco cammina con me! (uno dei film più sperimentali dal punto di vista narrativo di tutta la filmografia lynchiana). Può capitare - e capita spesso - di incontrare elementi di un altro (dis)ordine, inserti extradiegetici, oggetti ardenti nel buio, luci al neon intermittenti puntate su luoghi di piacere, palcoscenici, soglie tra diversi mondi che sfuggono completamente al principio di determinazione geografica. In generale, comunque, la logica della determinazione bilancia la logica dell'incertezza topologica secondo un andamento che si ritrova anche sul terreno della narrazione.
[...]


«È lei la ragazza.» Ripetizioni e ritorni in Mulholland Drive di Riccardo Caccia

Dopo una sequenza che pare incorniciare il film - quella dei ballerini di jitterbug -, Mulholland Drive ci introduce nel proprio flusso narrativo mostrandoci una limousine che procede a bassa velocità lungo le curve della strada del titolo, sui declivi intorno a Los Angeles. È notte e i fari dell'auto illuminano la via deserta, immersa nella vegetazione addormentata. L'atmosfera tranquilla viene però rotta da altre due auto, che ci vengono mostrate dopo uno stacco mentre percorrono la stessa strada in senso inverso e a velocità folle, con il loro carico di giovinastri vocianti. Quando la limousine accosta, la bruna sensuale seduta sul sedile posteriore interroga l'autista e l'uomo che siede accanto a lui: «Non dobbiamo fermarci qui». L'autista estrae allora una pistola e «invita» la donna a scendere. Ma ecco che una delle due auto provenienti in senso contrario perde il controllo e investe violentemente la limousine. La stessa scena sarà ripetuta verso la fine del film: questa volta la passeggera della limousine è la bionda Betty/Diane. Anche lei, come la bruna misteriosa dell'inizio, afferma inquieta, quando l'auto si accosta al ciglio della strada e si arresta: «Non dobbiamo fermarci qui». Il turbamento della ragazza è però di breve durata: la bruna della sequenza iniziale, Rita/Camilla, la attende fasciata in un abito da sera nero sul bordo della strada per accompagnarla, lungo una scorciatoia che si inerpica sulla collina, fino a una villa dove è in corso un party.
Mulholland Drive, come già altri film precedenti di Lynch, è contraddistinto dal ripetersi di situazioni, frasi, inquadrature, che in alcuni casi diventano veri e propri leitmotiv la cui natura vale la pena di indagare in maniera più approfondita. L'opera cinematografica di David Lynch è stata oggetto di un grande numero di pubblicazioni, nel nostro paese e all'estero, ed è stata studiata dai più svariati punti di vista e secondo le più diverse metodologie. Ma raramente le strutture ripetitive presenti nei suoi film sono state analizzate come meritano: sarà lo scopo del presente saggio che si articola in tre parti votate ognuna all'approfondimento di una particolare tipologia di ripetizione.
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