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Idee di cinema. L'arte del film nel racconto di teorici e cineasti
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Alcol e cinema

«www.drammaturgia.it»

Alcol e cinema   

di Gianni Cicali 

Esce, per i tipi de Il principe costante, la prima edizione integrale del saggio Alcol e cinema, scritto da Jean Epstein alla fine degli anni Quaranta. Epstein, che rimase 'colpito' dal cinema fin dalla sua giovinezza, conobbe e collaborò con alcuni tra gli artisti e gli intellettuali più rappresentativi del secolo scorso, da Cocteau a Picasso, da Eluard a Chagall, e fu cineasta egli stesso. Alcol e cinema si presenta come un testo relativamente 'tardo' rispetto all'âge d'or delle avanguardie storiche francesi, ma di quelle - che si proposero di superare il razionalismo e la logica 'borghesi' nell'arte - questo saggio è certamente figlio. Così come è figlio della formazione saggistico-letteraria di Epstein. Già affrontato in Bonjour cinéma, il suo primo scritto dedicato all'invenzione dei Lumière, il cinema ritorna in questo saggio in forma più sistematica, i cui capisaldi sono concetti, fondamentali nella visione dell'autore, come fotogenia (photogénie) e pensiero visivo (pensée visuelle).
Dello spirito delle 'avanguardie' degli anni Venti del '900 rimane la tensione irrazionalistica, liberatoria per l'espressione artistica e 'libertaria' per l'individuo. Da qui il titolo: l'alcol - droga mondiale con cui liberare le pulsioni artistiche, adottata in questo senso da poeti, pittori, musicisti, ma anche dall'uomo comune - è paragonato al cinema, invenzione capace stimolare un originale/originario pensiero visuale. Il cinema muto e 'sonoro' (quest'ultimo da tenere distinto, in senso positivo, dal cinema 'parlato', inteso come una intromissione negativa del 'discorso' teatrale) è ancora considerato la sola espressione autentica e specifica di quest'arte. Epstein considera l'invenzione cinematografica indipendente dal proprio ideatore e capace di implementarsi (diremmo oggi) in larga parte da sola.
Il saggio si articola attraverso riflessioni sui meccanismi linguistici, sul pensiero visivo, sulla formazione delle immagini, oscillando a volte pericolosamente tra filosofia del linguaggio, una sorta di 'gestaltismo' e una datata critica socio-politica. Epstein si colloca con questo suo lavoro nella schiera di coloro che rifletterono su cos'è il cinema: da Ricciotto Canudo a Bazin (e le sue mummie) per giungere a Deleuze. Tradotto da Chiara Tognolotti, il volume si avvale delle note biografiche e filmografiche di Laura Vichi e di un saggio di Monica Dall'Asta: Il pensiero dell'occhio.


«www.centraldocinema.it», luglio 2005

Alcol e cinema

di Roberto Donati

Jean Epstein scrisse questo saggio, ora ripubblicato in sobria edizione color verdemare da Il principe costante, alla fine degli anni Quaranta e, cineasta/teorico già affermato, volle interrogarsi sulla funzione del cinema in un’epoca dominata dalla logica e dal linguaggio verbale.
Ne esce fuori, dunque, un libello in cui, con ardimento e lungimiranza, Epstein esalta le qualità percettive ed evocative del cinema che viene paragonato all’alcol proprio per la sua capacità di allargare la percezione comune (e dominante) a dimensioni altre e aprire la strada al sogno (“l’onirisme”) e all’irrazionalità. Il cinema, in pratica, restituisce al pensiero visivo e pre-logico l’antico primato sulla parola, fornendo allo spettatore uno sguardo sempre nuovo sulla realtà nel suo incessante divenire.
Introdotto da note biografiche e terminologiche (a cura di Laura Vichi e Chiara Tognolotti) e chiuso da un saggio (Il pensiero dell’occhio) di Monica Dall’Asta e dalle note filmografiche, l’edizione italiana di questa importante testimonianza di teoria e pratica cinematografica (tanto dalla parte di chi la fa e la mette in pratica quanto da quella di chi, più passivamente, la subisce e ne gode) getta nuovo lume sulla portata rivoluzionaria della figura di Epstein, fornendo addirittura la stura per poterlo considerare uno dei padri (mal)celati della futura Nouvelle Vague, ovvero, col senno di poi, del riammodernamento dell’intero cinema mondiale.

 
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